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Dans ma Peau



Film facente parte del filone della “New French Extrimity” dei sui anni d’oro d’inizio 2000. Film del 2002 diretto da Marina de Van, forse tra i meno conosciuti e pubblicizzati, ingiustamente aggiungerei, rispetto ai più noti Frontiers, À l’intérieur e Haute Tension, solo per citarne alcuni, questo rimane un lavoro più introspettivo sulla nostra società, che senza neanche troppo celo a ispirato l’osannato “Raw” di Julia Ducournau.



Sin dai primi minuti impariamo a conoscere Esther (interpretata dalla stessa Marina), una donna all’apparenza dalla vita perfetto. Un buon lavoro, un compagno amorevole e una solida stabilità economica, che rispetto ai film sopra citati, non utilizza il mezzo comunicativo dell’horror per affrontare tematiche socio-politiche, ma si sofferma ad analizzare un mondo che ci vuole iper-produttivo e che fa crescere in noi un senso d’inadeguatezza che si nutre e muta in qualcosa di più viscerale e malvagio, insinuandosi nella nostra mente per trovare il suo sfogo liberatorio nella nostra pelle.



Esther, durante una festa, cade e si ferisce ad una gamba che le procurerà delle ferite profonde che ogni persona “normale” avrebbe avuto paura e sarebbe corsa all’ospedale, ma non lei, no Esther, si chiuderà in bagno spargendo il suo sangue come un marchio del territorio ed inizierà a sviluppare un'inquietante attrazione per la sua stessa carne e per il dolore che sembra non provare, ma che anzi la porterà ad atti di autolesionismo e auto-cannibalismo, nel tentativo di alleviare l’oppressione e le incessanti richieste del mondo esterno che la vuole perfetta e sempre pronta a soddisfare aspettative che non le appartengono.



“Dans Ma Peau”, conosciuto internazionalmente come “In My Skin”, è un racconto che esplora le emozioni che non riusciamo a esprimere. Questo body horror cattura il disagio di un dolore esistenziale, rappresentando l'incontro tra anima e corpo attraverso ferite auto-inflitte come unico sfogo possibile.


Il vero protagonista è il senso di impotenza nel non poter comunicare il proprio malessere a nessuno. Gli slogan di prevenzione sulla salute mentale, sembrano più un'ipocrita propaganda per pulire le coscienze dei potenti, più che un reale incentivo alla sensibilizzazione, non favorendo la libertà verso un dialogo aperto e costruttivo senza quel senso di vergogna cosi opprimente e autodistruttivo. Questa situazione crea uno scenario devastante che lascia spazio ad un vuoto disperato che implode su se stessa senza mai manifestarsi apertamente al mondo circostante.



Un incubo ad occhi aperti, in cui l'auto-punizione sembra essere l'unica arma a nostra disposizione per combattere i nostri demoni interiori, il cui unico scopo è lasciarci cicatrici che rimarranno per sempre sul nostro corpo a ricordarci che nonostante l'amore, il denaro e il successo, siamo noi stessi i nostri carnefici e guaritori in un mondo sempre più devoto all'individualismo più egoistico.

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