Sick of Myself
Lento, angoscioso. Questo film norvegese del 2022 diretto da Kristoffer Borgli e presentato al Film Festival di Cannes nello stesso anno, ci porta in un vortice di solitudine tra istrionismo e narcisismo, due disturbi della personalità così contrastanti ma che hanno in comune la disperata ricerca di attenzioni.
Il regista ci mostra, in maniera nuda e cruda, il perverso labirinto nel quale può perdersi ogni mente umana, anche la più insospettabile e stabile.
Un ritratto di una società che vuole apparire ad ogni costo, che non accetta una vita nell'anonimato ma farebbe di tutto per diventare popolare, riconoscibile e ricordato, arrivando addirittura a sfigurarsi per raggiungere lo scopo tanto desiderato.
La finzione, il sogno e la realtà in cui vive la protagonista è la sua stessa distruzione, autoinflitta e violentissima.
Difficile provare empatia per i protagonisti o per qualsiasi altro personaggio. Sono tutti apatici e incentrati su se stessi, ma sempre pronti a riprendere e a mettere in mostra ciò che succede intorno a loro senza però compiere nessuna azioni.
Lo specchio del mondo che vive del suo riflesso come spettatore moralista e predicatore di campagne retoriche, di cui si convince e ne fa il suo credo ma non si avvince mai a fare ciò che propaga come giusto.
In un qual modo, questo film parla a tutti noi, perché tutti siamo un pò Signe e un pò Thomas, ma anche le figure che circondano i due fidanzati.
Guardoni alla continua ricerca di riconoscimenti e in tutto ciò il fallimento non è contemplato. Ed è probabilmente, l'ostacolo che più ci fa paura e che ci fa muovere come pedine senza una vera direzione.
Così vero, così crudo da far venire i brividi. Istrionismo e narcisismo si incrociano alla perfezione in una pellicola che vi farà rimpiangere di averla vista, o forse no. Ma in fin dei conti è la vita che scorre per i suoi 97 minuti di durata.
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